giovedì 28 settembre 2017

Clausewitz e la Campagna di Russia del 1812

Quando si nomina Clausewitz, il pensiero corre subito alla sua opera più famosa, il suo capolavoro incompiuto: “Vom Kriege” (Della Guerra), opera universalmente riconosciuta come uno dei pilastri fondamentali del pensiero politico, strategico, militare.



La stessa sorte però non è toccata alle numerose opere di storia militare, molte delle quali dedicate alle campagne napoleoniche, studiate dal Clausewitz con grande interesse e descritte con notevole acume critico. Queste opere, non hanno riscosso l’interesse che avrebbero meritato, in particolare in Italia dove non sono mai state neppure tradotte.
Fra queste almeno una sarebbe stata, sicuramente, degna di maggior attenzione: quella relativa alla campagna di Russia del 1812 (Der Russische Feldzug von 1812 ), 


che ha avuto, fuori d’Italia, una notevole diffusione, ne esistono infatti, per quel che sono riuscito a reperire, traduzioni in inglese(1), francese, portoghese e russo.



Quali sono i motivi che ci fanno ritenere quest’opera degna di maggior attenzione? Innanzitutto perché descrive un evento che segnò una svolta decisiva nella storia d’Europa del XIX secolo. La campagna di Russia, infatti, vide la prima disfatta militare di Napoleone e segnò l’inizio della fine del suo Impero. Il 23 giugno 1812 le truppe francesi attraversavano il Niemen (Neman ) ed entravano in Russia. Meno di due anni dopo, il 31 marzo 1814, i Russi entravano a Parigi costringendo Napoleone ad abdicare.



Il giudizio sull’importanza storica di quest’opera del Clausewitz da parte dei più autorevoli storici militari contemporanei da Sir Michael Howard a George Nafziger, a Peter Paret ecc. è unanime; per tutti si tratta di un brillante resoconto di prima mano di un testimone diretto di quegli avvenimenti, che unisce all’accurata narrazione dei principali eventi militari interessanti descrizioni di eminenti personalità e ampie riflessioni sulla strategia e la politica dei due contendenti.
Non va trascurato anche il fatto che Clausewitz, non essendo russo, ci offre una visione della situazione interna all’esercito zarista più obiettiva di quella di molti altri memorialisti. 
Questa esperienza inoltre gli fornì molti spunti per la sua opera maggiore.



Anche nella vita del Clausewitz, questa campagna rappresentò un evento cruciale che ne segnò in maniera decisiva il destino futuro. Infatti la decisione di dimettersi per la sua contrarietà all'alleanza fra Prussia e Francia contro la Russia, stipulata a Parigi nel febbraio 1812, ebbe gravi ripercussioni e spiacevoli conseguenze sul suo futuro.

Dei diversi ufficiali che fecero la stessa scelta nessuno fu trattato così severamente come lui, che era il più vulnerabile, non appartenendo all'aristocrazia vicina alla corona, quasi che il Sovrano volesse riversare su di lui le frustrazioni per l'affronto subito da quel gruppo di ufficiali.


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Clausewitz, da parte sua, contribuì a creare tale situazione, gestendo maldestramente le sue dimissioni e non rispettando taluni obblighi legali.

Dichiarò infatti di voler lasciare l’esercito per motivi privati, senza accennare alla sua intenzione di passare al servizio della Russia, e senza chiederne il permesso al sovrano, come invece avevano fatto gli altri suoi colleghi. Per questo fatto venne successivamente posto sotto accusa e citato in giudizio. Tutto ciò rese difficile il suo rientro nell’esercito e contribuì ad influenzare negativamente la sua carriera, che in condizioni normali, avrebbe potuto portarlo ai vertici. Invece finita la campagna di Russia, contrariamente ai suoi colleghi, non venne riammesso nell'esercito prussiano fino al 1814. Solo nel 1818 venne promosso Generale, ma venne relegato alla Scuola ufficiali di Berlino come responsabile amministrativo. Venne richiamato in servizio attivo solo nel 1830, come capo di Stato Maggiore del corpo di spedizione prussiano inviato per sedare l'insurrezione polacca, guidato dal Gen. Gneisenau. L'anno dopo perse la vita a causa di un'epidemia di colera il 16 novembre, a Breslavia.



L'opera mette insieme tre capitoli, che Clausewitz compose in tempi differenti, probabilmente fra la fine del 1814 e la fine del 1823. Egli forse intendeva realizzare due opere diverse sulla guerra di Russia,una avrebbe riguardato una narrazione impersonale della campagna dal punto di vista strategico operativo, l'altra un racconto strettamente autobiografico. L'improvvisa scomparsa, impedì che quest'opera venisse ultimata, così come la più famosa "Vom Kriege".


(1) Questa versione è disponibile integralmente collegandosi a questo link: 

giovedì 21 settembre 2017

Personaggi storici: Gerhard J. D. von Scharnhorst (1755-1813)



Nel 1975 mi trovavo ad Amburgo presso la Führungsakademie der Bundeswehr (Scuola di Guerra tedesca) per partecipare, con alcuni colleghi, ad una esercitazione congiunta con la Scuola di Guerra di Civitavecchia.



La riunione introduttiva si svolgeva nell'Aula Magna dell'istituto dedicata a Scharnhorst. Uno dei colleghi italiani entrando chiese "Chi sa cosa significa in tedesco scharnhorst".
Questo per evidenziare come anche colleghi qualificati ignorassero  all'epoca (oggi sicuramente meno) la figura di uno dei più autorevoli generali prussiani dell'epoca napoleonica, maestro di Clausewitz, artefice della rinascita dell'esercito prussiano dopo la catastrofe del 1806 a Jena e Auerstädt.
Va detto, a parziale giustificazione dell'ignoranza del collega, che in quegli anni nei nostri istituti di formazione militare Clausewitz - e di conseguenza Scharnhorst - era pressoché ignorato, in quanto considerato espressione del militarismo tedesco. Basti pensare che il suo "Della Guerra" venne ripubblicato, nel dopoguerra, solo nei primi anni '70.
La figura di Scharnhorst, invece, ha rappresentato da sempre, fino a tutt'oggi, un punto di riferimento per i militari tedeschi. Nel secondo dopoguerra, quando venne fondata la Bundeswehr, il nuovo esercito della Repubblica Federale della Germania Occidentale, venne scelta come data di fondazione il 12 novembre 1955, che corrispondeva al secondo centenario della nascita del generale.
Analogo discorso valeva per l'esercito della DDR (Germania Orientale) la Nationale Volksarmee, in cui la massima decorazione militare era intitolata sempre a Scharnhorst. Il mito del generale era inoltre tenuto vivo, sempre nella DDR, con iniziative varie come una moneta da 10 marchi,



un francobollo celebrativo della Campagna del 1813 contro Napoleone (6ª Coalizione), ricordata in Germania come Befreiungkrieg (guerra di Liberazione).



Nel francobollo compare anche il principe russo Kutuzov, artefice della disfatta francese nel 1812 e Comandante in Capo delle forze della coalizione.
Addirittura, sempre nella DDR, venne prodotto uno sceneggiato televisivo 
 Quali sono le motivazioni alla base di  questo attaccamento dei tedeschi nei confronti di una figura del passato così lontana nel tempo?
Il generale Scharnhorst fu un'eccezionale figura di intellettuale militare e pose le fondamenta per lo sviluppo delle forze armate tedesche come una vera istituzione professionale. Dopo Jena ed Auerstädt e la pace di Tilsit del 1807 venne incaricato, assieme ad un gruppo di altri riformatori militari e civili da lui guidato, di riorganizzare l'esercito prussiano, cosa che gradualmente avvenne fra il 1807 e il 1813, rendendo possibile la liberazione della Prussia dall'occupazione francese e la riconquista di una posizione autorevole nel contesto europeo.


Il  gruppo dei riformatori al lavoro in una stampa d'epoca. Al centro in piedi Scharnhorst con alla sua destra Gneisenau.

Scharnhorst era nato nel 1755 nel Principato di Hannover da una famiglia di modeste condizioni, il padre, che aveva servito come sottufficiale in un Reggimento di cavalleria del principato, riuscì a farlo entrare a 18 anni all'Accademia Militare di artiglieria e genio del Conte Wilhelm di Schaumburg-Lippe, uno dei più importanti teorici militari del XVIII secolo.




Il conte, sovrano di uno Stato tra i più piccoli del Sacro Romano Impero, era un valente soldato che aveva combattuto nelle Guerra dei sette anni e a difesa del Portogallo contro i tentativi d’invasione della Spagna (per questo è detto Wilhelm der Portugieser – Guglielmo il portoghese). Teorico militare all’avanguardia per i tempi, era un convinto assertore del ruolo dell’esercito regolare e della centralità delle fortezze nella difesa dello Stato.
Nella sua Accademia, seguiva personalmente la formazione militare degli allievi e ben presto si rese conto delle particolari qualità del giovane Gerhard, sviluppandone il carattere e l'intelletto.
Terminata l'Accademia Scharnhorst entrò a far parte dell'esercito del Principato di Hannover dove restò per 23 anni. 
In quegli anni ebbe modo di sviluppare le sue capacità sia nel campo educativo, sia in quello teorico-militare in un'intensa attività di articoli e pubblicazioni che riscossero notevole interesse negli ambienti militari del tempo. Ebbe anche modo di partecipare con l'esercito del Principato alla campagna della 1ª Coalizione contro la nascente Repubblica francese (1792-1797).



Nel 1801 all'età di 46 anni, per diretto interessamento di Federico Guglielmo III di Prussia, entrò a far parte, con il grado di Tenente Colonnello di artiglieria, dell'esercito prussiano. Il primo impatto con una larga parte di quell'ambiente non fu idilliaco. Era considerato un teorico, con poca esperienza sul campo, bravo solo a scrivere libri, con idee riformatrici malviste in quell'ambito tradizionalista e conservatore.



All'epoca molti ufficiali superiori erano stati subalterni durante le guerre di Federico il Grande ed erano riluttanti ad ammettere che i metodi disciplinari e la pratica militare andassero cambiati. Mentalità  che avrebbe portato alla disastrosa sconfitta del 1806.
Come abbiamo già visto in precedenza la successiva opera riformatrice di Scharnhorst portò al riscatto contro Napoleone con la guerra del 1813, cui il generale Scharnhorst  prese parte come Capo di Stato Maggiore delle forze prussiane sotto il comando del Generale Blücher (l'eroe di Waterloo). Purtroppo nel corso della Battaglia di Lützen, vinta da Napoleone, venne ferito gravemente e morì il 28 giugno 1813.



In sua memoria, per volontà dello stesso sovrano, venne eretto un monumento a Berlino, collocato nel famoso viale "Under den Linden".



La sua fama si diffuse, soprattutto nel corso del XIX secolo, anche fuori dei confini germanici al punto da essere considerato "il più grande dei contemporanei di Napoleone" (Stewart L.Murray, The reality of War, London, 1914, p. viii)



mercoledì 13 settembre 2017

Campagna di Russia 1812: l'artiglieria russa.

L’artiglieria probabilmente era la branca più importante dell’esercito russo. I russi avevano un debole per quest’arma, e questo faceva sì che alla fine risultasse altamente professionale e molto ben addestrata, riceveva una particolare considerazione ed aveva a disposizione i migliori cavalli. 

эдинорог=EDINOROG

Fra i vari pezzi disponibili era compreso un obice a canna lunga: l’Unicorno (in russo: эдинорог=EDINOROG) detto anche Liocorno (i due termini, sinonimi, sono usati indifferentemente dai diversi autori per indicare questo particolare tipo di obice), disegnato e realizzato da Danilov e Martinov nel 1757, che aveva una gittata superiore ed una maggior precisione degli obici usati dagli altri eserciti europei. Nel 1805 l’artiglieria russa fu soggetta ad una grossa riorganizzazione dei materiali, paragonabile con l’introduzione del Sistema Gribeauval in Francia. Il conte Alexei Arakcheyev (allora Ministro della Guerra) 


standardizzò i calibri dell’artiglieria russa a 6 e 12 lb. (secondo il peso dei proietti, allora espresso in libbre) per quanto riguarda i cannoni ed a 3, 10 e 20 lb. per gli obici o Unicorni (quello da 3 libbre successivamente venne considerato inadeguato e venne ritirato dal servizio nel 1812). 
Tutti i pezzi d’artiglieria russi erano realizzati con metalli d’alta qualità, e a partire dal 1811 vennero muniti del Sistema di puntamento “Karbanov”, che era fra i migliori disponibili all’epoca. Diversamente dal sistema a blocco (block system) usato dalle altre nazioni, questo era un sistema d’elevazione a cuneo che operava con un vitone. 


Esso dava ai pezzi una precisione di gran lunga maggiore.
Nel 1812 l’artiglieria russa era costituita da batterie da posizione, batterie leggere e batterie a cavallo. Tutti e tre i tipi di batterie disponevano di 12 cannoni ciascuna. Due cannoni costituivano quella che veniva designata come sezione, due sezioni formavano una divisione, e tre divisioni formavano una batteria.
Le batterie da posizione disponevano di 4 obici Unicorni da 20 lb, 4 cannoni medi da 12 lb. e 4 cannoni corti da 12 lb. Le batterie leggere e quelle a cavallo disponevano di 4 obici Unicorni da 6 lb. e 8 cannoni da 6 lb.. Gli Unicorni venivano sempre schierati in divisioni omogenee.


Alcuni pezzi d'artiglieria in servizio all'epoca

L’artiglieria russa era organizzata in 27 Brigate con una batteria da posizione e due batterie leggere ciascuna. Ad ogni divisione di fanteria veniva assegnata una Brigata. Vi erano anche 10 Brigate di riserva con 4 batterie ciascuna e 4 Brigate deposito con 8 batterie ciascuna. Inoltre i pontieri e l’artiglieria a cavallo erano organizzati in formazioni indipendenti che venivano distribuite in maniera piuttosto diseguale fra le varie unità. C’era anche l’artiglieria presidiaria e una Brigata d’artiglieria della Guardia. In totale vi erano 45 batterie da posizione, 58 batterie leggere e 22 batterie a cavallo.
Nel 1812 vennero pubblicate le “Regole generali per l’impiego dell’artiglieria in combattimento” scritte dal Maggior Generale Alexander I. Kutaysov, uno studioso della concezione napoleonica dell’artiglieria.



Egli sosteneva l’uso dell’artiglieria “a massa” per aprire varchi nelle linee nemiche o per fermare gli attacchi. Nella sua opera Kutaysov diceva che la funzione principale dell’artiglieria era di eseguire il fuoco di controbatteria e di colpire l’artiglieria nemica. Egli riteneva utile aprire il fuoco a 1000 yarde, anche se questo avrebbe comportato piccoli danni, avrebbe comunque disturbato i movimenti nemici. A 450 yarde il fuoco sarebbe comunque diventato mortale. Egli sosteneva che l’artiglieria avrebbe dovuto fare fuoco il più presto possibile ad una distanza di 450 yarde. Egli proseguiva sostenendo la necessità di tenere celata la propria artiglieria il più possibile e immetterla gradualmente nella battaglia. Questo era ciò che intendeva fare nel corso della battaglia di Borodino, ma venne ucciso prima di avere l’opportunità di farlo.


Artiglieria russa a Borodino

sabato 16 aprile 2016

Una pagina di storia dimenticata: la pattuglia Boselli, 3900 km a cavallo

Siamo nel luglio del 1900, mese cruciale per la storia d'Italia, che vide il giorno 29 l'assassinio del Re Umberto I per mano dell'anarchico Bresci.
Ai primi del mese il Conte di Torino: Vittorio Emanuele di Savoia Aosta, fratello minore di Emanuele Filiberto (futuro Comandante della Terza Armata nella Grande Guerra), che all'epoca era Comandante del Reggimento Lancieri di Novara di stanza a Firenze, ricevette l'invito dall'Imperatore Guglielmo II di Germania di presenziare alle Grandi Manovre della cavalleria tedesca, previste per il 4 agosto in Assia.

Il Conte di Torino


Per fare da scorta al Comandante durante la sua permanenza in Germania venne scelta una pattuglia comandata dal Tenente Alfredo Boselli e composta da un sottufficiale e tre lancieri i quali, a cavallo, avrebbero dovuto raggiungere Berlino in tempo per la speciale missione.


Il drappello partì il 15 luglio dalla Caserma della Zecca di Firenze (attuale Caserma Antonio Baldissera, sede del Comando della Regione Carabinieri Toscana). Il percorso da Firenze a Berlino, circa 1500 km, si snodava attraverso il passo della Futa, Bologna, Modena, Mantova, Brescia (dove al Ten. Boselli venne consegnata una lettera autografa del Re Umberto I per l'Imperatore), passo dello Stelvio, Monaco di Baviera, Ratisbona, Berlino. A Monaco il 1° agosto vennero raggiunti dalla notizia dell'assassinio del Re d'Italia.


A quel punto l'obiettivo della missione restò quello di consegnare la lettera del defunto sovrano, il cui significato era divenuto ancora più prezioso per l'Imperatore.
Ripartiti da Monaco vennero dirottati verso il castello imperiale di Kassel, in Assia, dove giunsero il giorno 8 agosto. Il giorno successivo il Ten. Boselli consegnò al Kaiser, nel cortile del castello imperiale, la lettera di Umberto I, nel corso di una commovente cerimonia cui presenziarono le maggiori autorità militari. L'evento ebbe ampia risonanza in Italia, meritando anche la prima pagina della Domenica del Corriere, con una tavola a colori del celebre disegnatore Achille Beltrame.


Dopo una sosta di alcuni giorni la pattuglia avrebbe dovuto rientrare in treno in Italia, dove nel frattempo, il giorno 11 agosto, il nuovo sovrano Vittorio Emanuele III prestava giuramento a Roma come Re d'Italia.


Prima di ripartire per l' Italia, al Ten. Boselli venne consegnata una lettera autografa dell'Imperatore da consegnare al nuovo re. Il 15 agosto, mentre si predisponevano a rientrare in treno, giunse l'ordine di rientrare a cavallo e portare la lettera a Napoli dove si trovava il sovrano. Il percorso a ritroso, analogo al precedente li portò a Sondrio il giorno 29 agosto, dopo aver ripassato lo Stelvio. Il giorno 30 si diressero verso Bellano, mentre un cronista locale scriveva «uomini e cavalli (che non verranno mai sostituiti fino alla fine della missione) erano in buone condizioni» dopo 2400 km.
Da Bellano la pattuglia proseguì verso Napoli passando per la Cisa, Sarzana, Pisa, Civitavecchia e giungendo a Roma il 14 settembre. Dopo una breve sosta continuò per Albano, Cisterna, Terracina, giungendo a Napoli il 19 settembre. 
L'indomani in una solenne cerimonia alla presenza del Comandante del Reggimento "Lancieri di Novara", giunto appositamente da Firenze, il Tenente Boselli consegnò al Sovrano la lettera dell'Imperatore contenuta in un astuccio d'argento.



Al termine della cerimonia il tenente venne ricevuto da Vittorio Emanuele III nel suo appartamento, presentato alla Regina e invitato a colazione nel corso della quale il Re si fece raccontare i dettagli della missione.
Dopo un paio di giorni di riposo a Napoli la pattuglia ripartì, sempre a cavallo, per Firenze, dopo essere stata nuovamente ricevuta dal Sovrano, che premiò i militari con una consistente somma in denaro e regalò al Tenente Boselli un «magnifico» cavallo. 
Il giorno 6 ottobre finalmente la pattuglia arrivò a Firenze, dove, alla Certosa, alle porte della città, ad attenderla trovò tutto il Reggimento "Lancieri di Novara" con in testa lo Stendardo e il Comandante.


Il  rientro in città avvenne fra un'ala di folla festante, e attraversato l'Arno al Ponte alla Carraia, passando per i Lungarni il Reparto rientrò alla Caserma della Zecca.
Si concluse così una delle pagine più straordinarie della cavalleria di tutti i tempi; 3900 km percorsi in 81 giorni e 63 tappe, valicando per ben due volte, le Alpi e gli Appennini, compiendo una impresa senza e precedenti e che mai venne ripetuta.

(fonte principale Rivista Militare n.4/92)

lunedì 8 febbraio 2016

Personaggi storici: Michail V. Frunze: il Clausewitz sovietico (1885-1925)


Fra le figure che hanno avuto un ruolo di rilievo nella storia dell'Unione Sovietica, quella di Michail Vasil'evič Frunze è una delle meno conosciute in Italia e meno citate, pur essendo egli stato un protagonista, sia dal punto di vista politico, sia da quello militare, dei principali eventi della rivoluzione di ottobre e della successiva Guerra Civile. Lo stesso non avveniva in Unione Sovietica  dove era considerato un eroe della Rivoluzione d'ottobre e della Guerra Civile, un eminente teorico militare al quale venne intestata l'Accademia Militare di Mosca, una delle più importanti istituzioni dell'Armata Rossa (equivalente alla nostra Scuola di Guerra o allo Staff College inglese), ed infine un Bolscevico della prima ora, per la sua vicinanza a Lenin fin dalla nascita di quella corrente del Partito Socialista.
Nacque nel febbraio del 1885 a Biškek, attuale capitale del Kirghizistan, da una famiglia di origine romena per parte di padre. Alla sua morte la città venne rinominata Frunze e divenne capitale della Repubblica Socialista Sovietica del Kirghizistan, e tale rimase fino al 1991, quando riprese il vecchio nome.
Nel 1904 venne ammesso all'Università Politecnica di San Pietroburgo, dove cominciò a frequentare ambienti politici e si iscrisse al Partito Operaio Socialdemocratico Russo aderendo alla componente bolscevica di Lenin, come già detto in precedenza.
Avendo preso parte ad una manifestazione studentesca venne arrestato e una volta rilasciato venne allontanato da San Pietroburgo con il divieto di dimora in quella città. 


Trasferitosi nel distretto di Inanovo-Voznesensk in Ucraina, l'anno successivo, nel pieno della Rivoluzione del 1905, capeggiò uno sciopero dei lavoratori del tessile a Suja ed Inanovo, convincendo anche molti operai ad aderire al partito, creando una prima associazione chiamata soviet (consiglio). Dopo il disastroso risultato della rivoluzione, nel 1906 venne arrestato e condannato a morte. Sentenza poi convertita in ergastolo e lavori forzati nelle prigioni siberiane.

Rivoltosi deportati in Siberia dopo la mancata Rivoluzione del 1905 (Aleksandr M. Ljubimov)


Dopo 10 anni riuscì a fuggire e si rifugiò a Chita nella Siberia meridionale, dove riprese l'attività politica. 
Nel corso della rivoluzione del febbraio 1917, il partito lo inviò a Mink in Bielorussia dove fu prima a capo della locale milizia civile, poi venne eletto presidente del Soviet della Regione.
Quando scoppiò la Rivoluzione di ottobre 1917, si recò a Mosca con un manipolo di 500 Guardie rosse e prese parte all'occupazione del Cremlino.

Un gruppo di Guardie Rosse nell'ottobre 1917

Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi, Frunze venne nominato Commissario Militare in una provincia ucraina. Una volta scoppiata la Guerra Civile gli venne assegnato il comando del Gruppo di Armate Meridionale con il quale ottenne rilevanti successi contro l'Armata Bianca dell'Ammiraglio Kolčak. 

Tre celebri comandanti dell'Armata Rossa 
nel corso della guerra civile: Budyonny, Frunze e Voroshilov

In seguito, grazie ai successi ottenuti, gli venne assegnato da Trockij (Commissario del popolo per la Guerra e Comandante dell'Armata Rossa) la responsabilità dell'intero fronte orientale e continuò ad ottenere rilevanti successi militari contribuendo in modo determinante alla vittoria sui Bianchi.


Nel 1921 entrò nel Comitato Centrale del Partito, negli anni successivi fu nominato prima presidente del Consiglio Militare Rivoluzionario e poi Commissario del Popolo alla Guerra. Nel 1925, quando era uno degli uomini più potenti del partito morì misteriosamente nel corso di una banale operazione chirurgica, a causa della somministrazione di una eccessiva dose di cloroformio.
Su questo episodio alcuni hanno visto la mano di Stalin che cominciava ad essere infastidito dalla popolarità di Frunze. 

Frunze, secondo da sx, in una riunione con Stalin

La definizione, discutibile, di Clausewitz sovietico, gli venne attribuita, negli anni '60, dallo storico Water Jacobs in una biografia dettagliata in cui Frunze viene descritto come un originale teorico, un genio militare ed un importante leader politico.


Diverso è il punto di vista di un altro celebre studioso, John Erickson, il quale nel suo Storia dello Stato Maggiore sovietico (Feltrinelli 1963) sminuisce l'importanza di Frunze come teorico militare, a causa della sua scarsa professionalità in campo militare, carenza che, tuttavia, era diffusa fra i comandanti rivoluzionari, al punto che fu necessario richiamare in servizio molti ufficiali zaristi inizialmente epurati.



Resta comunque il fatto che nel lungo dibattito che seguì la Guerra civile circa il futuro dell'Armata Rossa egli ebbe la meglio su Tockij. Il dissidio consisteva sostanzialmente sulla diversa visione che i due avevano della funzione dell'Armata Rossa. Frunze riteneva necessario predisporre una Dottrina Militare Unificata, che prevedesse il servizio militare obbligatorio anche in tempo di pace, dottrina che doveva plasmarsi sugli obiettivi del partito, mentre Trockij, riteneva che, vista la fluidità della guerra, non fosse necessario legare l'impiego dell'Armata ad una dottrina rigida e che il servizio militare restasse con la caratteristica della milizia volontaria. Alla fine la maggioranza dette ragione al primo, che non molto tempo dopo scalzò Trockij anche dall'incarico di Commissario del popolo alla Guerra.


Trockij, che di lì a poco sarebbe anche caduto in disgrazia ed espulso dal partito, non perdonò a Frunze la sconfitta e la sostituzione e nella sua voluminosa Storia della Rivoluzione Russa ignorò completamente il contributo di Frunze, citandolo solo una volta, a pagina 1048 con un giudizio sferzante in cui lo definisce «...personalmente molto coraggioso, ma non certo dotato di larghezza di vedute».
Per chi fosse interessato ad approfondire, oltre ai due libri sopracitati segnalo il saggio dell'ex Sottosegretario di Stato USA Condoleezza Rice: The Making of Soviet Strategy in AA. VV.: Makers of Modern Strategy - From Machiavelli to Nuclear Age (a cura di Peter Paret), Priceton University Press, 1986.


Chiudiamo con una nota di colore. Il celebre copricapo dell'Armata Rossa, qui sotto riportato, veniva chiamato anche Frunzevka, in onore al celebre personaggio, che era solito indossarlo con l'uniforme.


domenica 24 gennaio 2016

Personaggi storici: Carlo Decristoforis, patriota e scrittore, autore di "Che cosa sia la guerra" (1824-1859)


Maggio 1859, seconda Guerra d'Indipendenza, Garibaldi con i suoi cacciatori delle Alpi opera all'estrema sinistra dello schieramento franco-piemontese con il compito di «agire sulla destra al lago maggiore nel modo che meglio crederà». È necessario attirare l'attenzione del nemico verso una zona marginale distraendo una parte delle sue forze, ma anche suscitare ed alimentare l'insurrezione popolare sul fianco e nelle retrovie del nemico.
L'insperata autonomia e l'ampia libertà d'azione consentono a Garibaldi di spingersi arditamente in avanti. In pochi giorni superato il Ticino a Sesto Calende, penetra in Lombardia, con diversi giorni di anticipo rispetto alle forze franco-piemontesi.


Arrivo dei Cacciatori delle Alpi a Sesto Calende il 23 maggio 1859 
(Eleuterio Pagliano 1865 - Museo del Risorgimento, Varese)

Il 26 maggio dopo aspri combattimenti i garibaldini entrano in Varese e la mattina del 27 si apprestano ad attaccare Como, presidiata da ingenti forze austriache. Queste ultime, guidate dal Gen. Urban, sono schierate lungo la strada che porta alla città, con l'ala destra appoggiata ad una altura sulla quale è situato l'oratorio di San Fermo.
La manovra concepita da Garibaldi prevede di impegnare frontalmente la collina con alcune unità, tentando nel contempo l'aggiramento con altre forze. La compagnia guidata dal Capitano Carlo Decristoforis(1), già distintasi nei giorni precedenti, è la prima a sferrare l'attacco, ma viene falciata dal fuoco nemico ed è costretta a ripiegare, lasciando sul terreno numerosi caduti fra i quali lo stesso capitano.


La battaglia di San Fermo 27 maggio 1859 - Gerolamo Induno 1860

La seconda ondata, guidata dal ten. col. Giacomo Medici(2) «l'eroe del Vascello», riesce ad avere ragione delle forze schierate sulla collina mentre le azioni aggiranti degli altri reparti costringono l'intera linea difensiva austriaca a ritirarsi. La sera stessa Garibaldi entra trionfalmente in Como, fra grandi dimostrazioni di giubilo della popolazione. Circa tre mila uomini armati malamente e privi di artiglieria riescono a sopraffare, costringendoli alla ritirata, ottomila uomini dotati di armi moderne con 16 pezzi di artiglieria e con due squadroni di cavalleria.


Garibaldi entra in Como - Stampa del 1892

L'indomani, commemorando i caduti, il Generale così si esprime descrivendo il valoroso capitano Decristoforis: «In ogni incontro sostenuto dai nostri Cacciatori fu sempre ammirato per la sua bravura, sangue freddo e capacità molto al di sopra dell'età sua. Dai suoi profondi conoscimenti dell'arte (militare) che l'adornavano, era facile dedurre che egli sarebbe riuscito un brillante ufficiale superiore».


Corpo di Decristoforis fotografato nell'ospedale di Sant'Anna a Como

L'eroica figura del giovane capitano, caduto mentre guidava con impeto i suoi garibaldini all'assalto alla baionetta, rimase impressa nella memoria del grande condottiero, il quale molti anni dopo così lo ricordava «Se gli italiani potessero essere sempre comandati da ufficiali come lui le armi nostre sarebbero temute e rispettate dai nostri nemici».
In anni più recenti lo storico Piero Pieri rievocava l'episodio della morte del Decristoforis: «Così era morto per la Patria a trentaquattro anni il patriota che rappresentava in Italia la maggior mente di teorico dell'arte militare, sacrificato in un attacco frontale sanguinoso, mentre grandi servigi avrebbe ancora potuto rendere all'Italia e al suo nascente esercito». (Guerra e politica, Mondadori, 1975, p.160)


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Immagine tratta da "Che cosa sia la guerra" 
edizione Ufficio storico S.M.R.E. 1925

Carlo Decristoforis nasce, suddito austriaco, a Milano il 20 ottobre 1824. Nel 1847 si laurea in giurisprudenza a Pavia. Negli anni trascorsi nell'ateneo pavese i suoi sentimenti di italianità si rafforzano e comincia a sviluppare sempre maggiore interesse per i problemi politici e sociali di quel tormentato momento storico.

Rientrato a Milano si trova ben presto coinvolto in pieno negli avvenimenti delle Cinque Giornate e partecipa con entusiasmo  ai combattimenti sulle barricate, lottando fianco a fianco con Luciano Manara(3), per la conquista di Porta Tosa. Cacciati gli austriaci da Milano, si unisce a quest'ultimo e alla sua legione di volontari e partecipa alle operazioni in Trentino. La sconfitta dell'esercito sardo e il ritorno degli austriaci a Milano costringono i volontari lombardi ad abbandonare la lotta.



Giacomo Mantegazza - Cinque Giornate di Milano: Barricate mobili a Porta Tosa

La delusione e lo sconforto per questo insuccesso lo dissuadono dal partecipare agli eventi del 1849 ed essendo intimamente persuaso che la causa principale della sconfitta andava ricercata nella scarsa preparazione militare, decide di dedicarsi agli studi politici e militari, trascurando la carriera giuridica. Secondo Lui l'Italia necessita di «ufficiali intelligenti che sappiano che cosa sia la guerra».
La morte dell'amico Luciano Manara, caduto per difendere la Repubblica Romana, gli crea dei rimorsi per essersi estraniato dalla lotta e riprende a frequentare gruppi clandestini di simpatie mazziniane. Nonostante ne avesse previsto l'insuccesso prende parte al velleitario tentativo insurrezionale del 6 febbraio 1853 a Milano. Sfuggito miracolosamente all'arresto si rifugia prima in Svizzera poi in Francia. Qui, grazie ad alcune influenti conoscenze, nel novembre 1853, riesce ad essere ammesso, come allievo esterno, alla prestigiosa Scuola Imperiale d'Applicazione di Stato Maggiore di Parigi. Dopo quindici mesi di studi molto impegnativi ottiene il brevetto di idoneità alle funzioni di ufficiale di stato maggiore.
In quei giorni è in pieno svolgimento la Guerra di Crimea ed egli anela a prenderne parte, ma sia i francesi che i piemontesi non lo ammettono nelle loro fila, forse per i suoi trascorsi insurrezionali.
Solo nel 1859 la sua ansia di combattere viene accolta ed entra a far parte col grado di Capitano dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi.



Carlo Decristoforis in uniforme di Capitano dei Cacciatori delle Alpi (maggio 1859)

I suoi desideri e le sue speranze sono esauditi, finalmente può battersi per l'amata Patria: purtroppo però il suo sogno di entrare in Milano liberata alla testa della sua compagnia si infrange sulle pendici della collina di San Fermo.
In tutti questi anni egli ha continuato a scrivere ed il suo libro sull'arte militare ha perso forma definitiva con il titolo Che cosa sia la Guerra.

Solo cinque giorni prima di morire, forse presago del destino che lo aspettava, invia ad un amico il manoscritto del suo libro: «Ti mando il libro militare che ho portato meco per sbaglio, conservalo bene e pensa alla stampa di esso».
L'amico provvederà, l'anno successivo a dare alle stampe quella che sarà la più importante opera di carattere militare scritta da un italiano nel XIX secolo.
Dopo l'Unità d'Italia l'opera ebbe una larga diffusione: tre edizioni in poco più di trent'anni. Studiata nelle Accademie, venne ripetutamente citata dagli studiosi italiani.
L'idea centrale dell'opera del Decristoforis è che tutta l'arte militare è retta non già da un certo numero di principi, ma da un principio unico, la vittoria è decisa dall'urto della massa, il quale genera tutti gli altri che si trovano in esso implicati e ne diventano altrettante modalità. Da ciò ne deriva che la Strategia è l'arte di condurre in massa l'esercito combattente sul punto decisivo. Una rivalutazione della concezione strategica di Napoleone, all'epoca dimenticata.

Per approfondire, si consiglia:
Carlo Decristoforis: Che cosa sia la guerra, S.M.R.E.-Ufficio Storico, Roma,  1925, 
Nicola Marselli, La Guerra e la sua Storia, vol. II, Enrico Voghera editore, Roma, 1902,
Piero Pieri, Guerra e Politica, A. Mondadori, Milano, 1976,
Ferruccio Botti, Il Pensiero Militare e navale Italiano dalla Rivoluzione Francese alla Prima Guerra Mondiale (1789-1915), vol. II (1848-1870), S.M.E.-Ufficio Storico, Roma, 2000.

(1) Decristoforis o De Cristoforis, tutto attaccato o staccato, dilemma che perseguita da una vita anche me, avendo un cognome simile. Nelle varie edizioni della sua opera principale il nome compare tutto attaccato, in molte altre fonti appare staccato. Io mi sono attenuto alla prima versione.
(2) Giacomo Medici (1817-1882), eroica figura di soldato che dedicò la sua intera vita alla causa della libertà, non solo in Italia. Dopo aver combattuto in Spagna contro i Carlisti e in America e poi in Italia con Garibaldi, divenne famoso, durante la Repubblica Romana del 1849, per l'eroica difesa della Villa del Vascello, fuori le mura di San Pancrazio. Dopo la campagna del 1859 sempre con Garibaldi, fu uno dei protagonisti, col grado di Colonnello, della Spedizione dei Mille. Nel 1862 entrò nel Regio Esercito con il grado di Tenente Generale e nella terza guerra d'Indipendenza del 1866 si distinse al comando di una divisione ottenendo la Medaglia d'oro e l'Ordine Militare di Savoia. Conclusa la carriera militare fu prima deputato poi dal 1870 Senatore a vita. In riconoscimento del suo valoroso comportamento nella difesa del Vascello, gli venne concesso di modificare il cognome in Medici del Vascello, da tramandarsi anche ai successori.
(3) Luciano Manara (1825-1849). Compiuti gli studi liceali a Milano, acquisì una discreta cultura militare frequentando le lezioni della Scuola di marina a Venezia. Fra il 1840 e il 1846 soggiornò a lungo in Germania e in Francia. Vicino alle posizioni di Carlo Cattaneo, durante le Cinque giornate di Milano fu a capo del drappello che conquistò Porta Tosa permettendo l’ingresso in città agli insorti provenienti dalle campagne. In questa occasione emersero con chiarezza le sue notevoli capacità organizzative e la sua attitudine al comando. Scoppiata la guerra tra Piemonte e Austria, organizzò un corpo di bersaglieri con cui combatté nel Trentino e in Lombardia. Dopo la sconfitta di Custoza, riparò in Piemonte dove ebbe l’incarico di organizzare un battaglione di bersaglieri con cui, una volta riprese le ostilità, si distinse a Gravellona e a La Cava sul Ticino (1849). Superando la sua diffidenza verso Mazzini, si recò a Roma assediata dai francesi, partecipò con i suoi volontari prima alla spedizione contro i borbonici a Velletri e poi alla difesa della città. Nominato colonnello e capo di stato maggiore da Garibaldi, morì,  a soli 24 anni, a Villa Spada mentre guidava un ultimo assalto contro le truppe francesi.